
Depositata in Procura una denuncia per il presunto scarico illegale di sostanze nel suolo
Esplode una nuova polemica sul Parco Marittimo, ancora in corso di completamento nei lidi ravennati. In una conferenza stampa andata in scena questa mattina, lunedì 20 novembre, infatti, il capogruppo consiliare di Lista per Ravenna, Alvaro Ancisi, e Francesca Santarella di Italia Nostra hanno illustrato la denuncia/querela presentata dallo stesso Ancisi il 20 ottobre scorso, depositata presso la Capitaneria di Porto locale, sezione Polizia Marittima-Ambiente e indirizzata al Procuratore della Repubblica di Ravenna.
Relativamente al progetto “Parco marittimo” 1° stralcio (Marina di Ravenna e Punta Marina Terme), vengono contestati i materiali usati come sottofondo nei lavori cosiddetti “di riqualificazione” delle carraie pinetali e degli stradelli ciclopedonali retrostanti gli stabilimenti balneari. Secondo Ancisi e Santarella, potrebbe addirittura configurarsi il reato di scarico illegale di sostanze nel suolo.
“Punto centrale della denuncia – spiega Ancisi – è che in questi sottofondi è stato usato non soltanto pietrisco di roccia, materiale naturale di cava, come imposto dal progetto definitivo dei lavori approvato dalla Giunta comunale a seguito della Conferenza dei servizi decisoria, ma in massima parte rifiuti riciclati (nella migliore delle ipotesi) provenienti da demolizioni edilizie (calcestruzzo o macerie), per 3.767 tonnellate. Così, almeno, è stato autorizzato e dichiarato dal Comune”.
Al riguardo, il capogruppo di LpR argomenta “in punta di diritto” come la variante al progetto pubblicata il 17 aprile “a babbo morto”, cioè coi nuovi sottofondi di carraie e stradelli fulmineamente tombati entro i primi giorni della settimana di Pasqua celebrata il 9 aprile, sia a suo avviso “profondamente scorretta e viziata”.
Ma la “giustificazione” addotta, “utilizzo dei rifiuti nelle attività di recupero ambientale” tramite rifiuti riciclati conformi ai parametri fissati dal decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, non regge affatto secondo quanto sostenuto da Ancisi: “Non sono state infatti rispettate le condizioni imposte dal decreto stesso, perché tale utilizzo di rifiuti non è stato ‘previsto e disciplinato da apposito progetto approvato dall’autorità competente’, cioè dalla Conferenza dei servizi decisoria del progetto definitivo e quindi dalla Giunta comunale, e non è inoltre ‘compatibile con le caratteristiche chimico-fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell’area da recuperare’”.
Non si è trattato, sottolinea Ancisi, di costruire dei parcheggi autostradali, bensì di “riqualificare” parte notevole della Riserva Naturale dello Stato “Pineta di Ravenna”, a cui si sovrappongono la zona Rete Natura 2000, Zona Speciale di Conservazione e Zona di Protezione Speciale “Pialassa dei Piomboni, Pineta di Punta Marina” e la “Stazione Pineta di San Vitale e Pialasse di Ravenna” del Parco Regionale del Delta del Po, mentre l’“area litoranea compresa fra la foce dei Fiumi Uniti e il molo foraneo Sud, comune di Ravenna” è soggetta alle “Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale” (cosiddetta legge Galasso), alla “Dichiarazione di notevole interesse pubblico”, alle definizioni di “Area a Rischio idrogeologico” e di “Area di potenziale allagamento”.
“Non è dunque vero – insiste Ancisi –, come scritto nella variante, che, ‘autorizzando’ lo sversamento di montagne di rifiuti riciclati sotto carraie e stradelli, ‘la modifica non muti sostanzialmente la natura dei lavori compresi nell’appalto’. Al contrario, la stravolge. Tanto da doversi valutare, in mancanza di alcun mandato della Conferenza dei servizi e neppure dei suoi singoli componenti, ancor meno della Giunta comunale, pur consapevole e quindi compiacente, se possa in ipotesi configurarsi il reato di scarico illegale di sostanze nel suolo. Basti pensare che, in caso di mareggiate o alluvioni di una certa violenza, a cui è ormai irresponsabile porre dei limiti, migliaia di tonnellate di rifiuti riciclati (se anche peggio è ancora da vedere) si spargerebbero ovunque su vastissima parte di una Riserva Naturale dello Stato, sul demanio marittimo del litorale ravennate ed in mare aperto”.
La denuncia, composta di 10 pagine, organizzate su 15 capitoli e subcapitoli, e con 28 allegati, è stata consegnata anche alla Capitaneria di Porto il giorno stesso, al Comando del Gruppo Carabinieri Forestale di Ravenna il 23 ottobre e alla Guardia di Finanza Gruppo Ravenna il 27 ottobre, in quanto specificamente interessati ai capitoli della denuncia di propria competenza e conseguente auspicabile attivazione:
- la Capitaneria di Porto è direttamente coinvolta perché, mancando addirittura l’espressione del suo parere nella Conferenza dei servizi decisoria del progetto definitivo originale, le nuove opere compiute nelle aree del demanio marittimo senza la sua autorizzazione, neppure richiesta, sono considerate dall’art. 54 del Codice della Navigazione “innovazioni abusive”, con obbligo a carico del capo del compartimento di imporre la “rimessione delle cose in pristino”;
- ugualmente è mancata, benché imposta dall’atto di concessione delle aree pinetali dal Demanio Forestale al Comune di Ravenna, la preventiva autorizzazione dei Carabinieri Forestali per la Biodiversità a “riqualificare” le carraie di proprietà del Demanio forestale con rifiuti riciclati, nel mentre il decreto stesso di istituzione della Riserva naturale Pineta di Ravenna vieta di effettuare al suo interno attività che non siano per la “ricostituzione di equilibri naturali”, a cui certo non può concorrere un’enormità di rifiuti riciclati;
- è invece materia tecnica della Guardia di Finanza, tema a cui è dedicato il subcapitolo della denuncia “A chi giova?”, valutare in profondità i conti economici a carico della finanza pubblica, rivisti a seguito della variante suddetta (“n. 2”) e di un’altra precedente (“n. 1”), considerando, in particolare, che i rifiuti inerti riciclati costano assai meno del pietrisco naturale di roccia.
“La denuncia – conclude Ancisi – solleva, non da ultimo, un interrogativo non lieve, solubile solo effettuando carotaggi a campione, come richiesto nella denuncia alla Procura, non essendo dimostrato che le 3.767 tonnellate di rifiuti riciclati, in effetti acquistate e trasportate verso il cantiere, siano finite interamente nei sottofondi delle carraie e degli stradelli in questione, sui quali il Comune, a lavori compiuti, ha effettuato solamente prove di carico. Sopralluoghi compiuti, fotografie e video raccolti, nonché filmati della televisione di Stato, effettuati tra il 14 marzo e il 10 aprile, di cui la denuncia dà conto puntuale, avendo depositato anche due campioni di materiali prelevati da una carraia e da uno stradello il 20 marzo, mostrano la presenza di plastiche da demolizioni edili (corrugati, ecc.), granuli di asfalto, materiale laterizio/ceramico anche di grande pezzatura, spezzoni di ferro, ecc., la qualità e la granulometria dei quali sarebbero da verificare”.