
I momenti migliori e quelli peggiori della sua avventura
“Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita”
Dopo quindici giorni in sella alla sua bicicletta, nel pomeriggio di martedì 7 maggio, Michelangelo è tornato nella sua casa ad Alfonsine accolto dal calore e dagli applausi di tutti.
Sotto il sole, la pioggia, il forte vento e le mille intemperie meteorologiche, il giovane ciclista ha attraversato ben sette Stati: Grecia, Albania, Montenegro, Croazia, Bosnia, Slovenia ed infine l’Italia.
Noi la sua avventura ve l’abbiamo raccontata sin da prima che cominciasse e questo è proprio uno di quei casi in cui il proverbio “Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita” calza a pennello.
Nell’intervista prima della sua partenza abbiamo parlato con un ragazzo giovane ma determinato, pieno di energia e di voglia di scoprire cose nuove, un ragazzo le quali parole erano dettate dall’entusiasmo, ma anche da piccole incertezze, insicurezze e paure.
Durante il viaggio, contattato telefonicamente, lo abbiamo sentito di umori differenti: grato delle esperienze che stava vivendo, sorpreso dai luoghi e dalle persone che stava incontrando, sconfortato per la stanchezza, spesso più per quella mentale che per quella fisica, alle volte un po’ giù di corda per via del meteo, non sempre clemente durante il suo tragitto.
Ora che è tornato abbiamo parlato con un uomo segnato positivamente da questa avventura: ogni singola esperienza che ha vissuto gli ha insegnato qualcosa.
Quali sono state le maggiori difficoltà durante la tua avventura?
“Il viaggio di base è un costante alti e bassi con l’umore, un secondo prima ero alle stelle perché magari avevo visto un paesaggio spettacolare, o perché avevo scoperto che la strada era in discesa o perché avevo incontrato qualcuno che mi ha lasciato qualcosa di particolare, quindi il mio umore era positivo, ma poi ho avuto dei picchi durante i quali l’umore crollava letteralmente, magari perché la strada fa una curva e scoprivo che dovevo affrontare una salita enorme, problemi alla bicicletta o semplicemente la stanchezza s’impadroniva di me.
Conta di più essere preparati a livello mentale che a livello fisico, se non ci sei con la testa, le gambe non ci vanno dietro, devi essere concentrato, sveglio, vigile, a volte c’è lo sconforto e non riesci ad andare avanti, ma devi farti forza.
In viaggio più che mai ci si rende conto di quanto sia importante esserci prima con la testa che con il corpo.
Il meteo poi ha influito molto sul mio umore…
Inoltre stare tanti giorni da solo è davvero pesante, ho passato quindici giorni di quasi totale solitudine, ora che sono tornato è un po’ uno choc per me parlare con le persone e relazionarmi con loro”.
Hai visitato dei posti splendidi, qual è il luogo che ti ha colpito maggiormente?
“La città che ho preferito è una piccola cittadina che ricorda molto Cesenatico, si trova a nord della Grecia, vicino al confine con l’Albania. E’ un villaggio di pescatori estremamente caratteristico, i canali che l’attraversavano mi hanno affascinato molto, ma ciò che mi ha colpito di più è che si trattava di una cittadina turistica, tutti i ristoranti erano aperti, ma l’unico turista presente ero io, ero l’unica persona che si aggirava per quelle vie, a parte me e gli abitanti non c’era nessuno.
Se parliamo di Stati invece quello che mi è piaciuto di più in assoluto è stata l’Albania, per tutto: il posto, i paesaggi mozzafiato, la gente gentilissima e sorridente, e poi la tutto costa poco, è molto economica”.
Avrai fatto molti incontri… quali sono quelli che ti sono rimasti più impressi?
“Di gente ne ho incontrata tanta, ma una sera in Albania un incontro mi ha davvero riempito il cuore.
Erano circa le 18:30, stavo pedalando impiegando tutte le ultime energie che mi erano rimaste in corpo perché quel giorno avevo fatto una tappa lunghissima, mi trovavo in una città che si chiama Laç, arrivavo da Valona.
Stavo percorrendo una stradina cercando un motel in cui passare la notte quando, all’improvviso, due ragazzi mi si mettono davanti e mi fanno segno di accostare, sul momento mi sono preoccupato moltissimo, non conoscevo le loro intenzioni.
Mi avvicino e noto che indossavano uno la maglia del Milan, l’altro quella della Juventus; si avvicinano a me e iniziano a parlare italiano. Probabilmente mi avevano inquadrato già da lontano.
Abbiamo iniziato a parlare, gli ho raccontato cosa stavo facendo e perché mi trovavo lì e siccome eravamo fuori dal centro città mi hanno offerto un passaggio. Siamo saliti su una macchina scassatissima e, a una velocità elevatissima, mi hanno fatto fare un giro della città, mi hanno accompagnato al minimarket e ovunque avessi bisogno. In Albania guidano come dei pazzi, ma hanno un cuore davvero grande: mi hanno offerto da bere e abbiamo passato la serata a parlare, ridere e scherzare. Dopodiché mi hanno ospitato per la notte nel loro motel facendomi spendere pochissimo (ho pagato dieci euro per una camera singola con bagno).
E’ un incontro che mi porterò sempre nel cuore.
Un altro giorno, invece, mi trovavo in Croazia, il freno anteriore della mia bicicletta si era bloccato e toccava sulla ruota, quindi facevo una fatica assurda a salire. Era il 1 maggio e tutti i negozi di bici erano chiusi, mi è venuto un po’ di sconforto dal quale però non mi sono fatto sovrastare. Ho trovato una casa e ho chiesto una mano al proprietario, ma lui parlava solamente croato, quindi mi sono fatto capire a gesti. Quel signore ha subito tirato fuori una pompa di olio e, siccome non aveva capito bene dove fosse il problema, l’ha messo su tutta la bicicletta (per stare sul sicuro). Dopodiché lui e la moglie mi hanno dato da bere e da mangiare, poi ci siamo salutati e sono ripartito sulla mia bicicletta, totalmente cosparsa d’olio. Anche questo incontro mi ha scaldato il cuore, queste persone sono state con me gentilissime anche se non ci conoscevamo e non parlavamo la stessa lingua.
Ogni mio incontro ha smentito tutti quei pregiudizi che hanno portato tantissima gente a dirmi prima della partenza: ‘Sei pazzo? La gente nei Balcani è pericolosa, devi stare attento, ecc…’. Posso affermare con assoluta certezza che non è così: certo, ovunque, in ogni singola piccola cittadina di questo mondo ci sono persone buone e cattive, ma posso dire fermamente che tutti i preconcetti diffusi, perlomeno qua in Italia, sulle persone dell’est Europa non sono assolutamente veri. Sono persone di cuore, gentili e sorridenti”.
Hai già in mente una prossima avventura?
“Non so se avrò ancora la possibilità di fare un’esperienza del genere, perché sono due settimane che devo avere totalmente libere da impegni ed è una cosa abbastanza rara, ma posso dire che l’ultimo viaggio in realtà è sempre il penultimo: con una scusa o con l’altra troverò ancora il modo di partire.
Non ho ancora pensieri concreti su quale sarà la mia prossima avventura, ma viaggiare è un’attrazione a cui non riesco a resistere, quindi so che arriverà qualcosa.
La meta è relativamente importante, il viaggio in sé è la meta, avere la possibilità di fare un’esperienza come questa è una sensazione che spero di risentire presto”.
Qual è il momento in cui sei stato più felice?
“La parola ‘felice’ è pericolosa. Un giorno mi trovavo su una delle montagne più difficili in Albania, ero ad oltre 1000 metri di quota, le salite erano davvero molto impegnative, ero nello sconforto generale perchè dopo 100 km di salita ero davvero stanco sia mentalmente che fisicamente.
Sentivo che ero in un momento di difficoltà, quindi ho messo gli auricolari e ho ascoltato la mia canzone preferita: “Wish you were here”dei Pink Floyd: lì è cominciata un’esperienza che sono certo rimarrà scolpita nel mio cuore a vita. E’ come se tutta la mia vita iniziasse a passarmi davanti, ho pensato al perché ero li, alla mia vita a casa, a tutto quello che ho fatto in passato, alla incertezze sul futuro… quella canzone mi ha dato una carica e una forza che non pensavo di avere. Per un momento mi sono anche dimenticato che stavo facendo fatica, è stato un insieme di tantissime emozioni intense e contrastanti fra loro, ho capito che io ero li proprio per quello, per trovare qualcosa di intenso, ero in una situazione difficile e mi sono reso conto che era proprio quello che volevo: provare qualcosa che non riesco a provare a casa. Forse questo è anche il motivo per cui ogni volta scelgo un percorso sempre più difficile, per provare quel qualcosa in più, di diverso, quell’eccesso che non si può provare nella vita normale. Penso che una vita senza eccessi non valga la pena di essere vissuta”.
Come ti senti adesso che sei tornato alla tua vita normale?
“Quando vivo queste avventure per me è più difficile ritornare alla mia vita normale che adattarmi ed immergermi nelle condizioni estreme del viaggio, passo dal confort al nulla e dopo due tre giorni mi ci abituo, anzi mi rendo conto che è un modo di vivere che sento molto più mio rispetto allo stile di vita che ho per tutto il resto della mia vita qua ad Alfonsine. Per quanto mi riguarda, dover tornare alla tua routine, controllare le mail, gli impegni, non fare tardi alle riunioni e gestire la mia vita sociale è molto più complicato, secondo me è peggio passare dal nulla al tutto che dal tutto al nulla, è paradossale, qua mi sento un alieno, mi sento spiazzato”.
Come sei stato accolto quando sei arrivato ad Alfonsine?
“La Società Ciclistica di Alfonsine (che fra l’altro è stata mia sponsor e mi ha dato la divisa per il mio viaggio) è venuta a ‘prendermi’: alcuni si sono uniti all’ultimo tratto della mia pedalata aspettandomi a Comacchio, altri invece mi hanno atteso alle porte di Alfonsine, quindi siamo rientrati in gruppo.
Poi sono passato allo stadio perché lì c’è la pista dove si allenano i bambini della Società Ciclistica, è il posto dove all’età di 8/9 anni ho iniziato a scoprire il ciclismo, quindi ho deciso di andare a prendere i bambini e arrivare con loro e i grandi della società ciclistica (insieme ai miei due allenatori che sono quelli che mi scoprirono e mi indirizzarono al ciclismo) tutti assieme in piazza.
Li c’erano i miei parenti, il sindaco di Alfonsine, la giunta comunale e il candidato sindaco, tante persone erano venute a vedermi. Addirittura, siccome avevo scritto il percorso dal quale sarei passato al mio arrivo, la gente usciva di casa solo per vedermi passare, è stato un momento bellissimo”.
Valentina Orlandi