
Il futuro dello scalo ravennate spiegato da Ancisi e Manzoli
Dopo quattro ore e mezza della discussione, avvenuta in consiglio comunale il 28 gennaio scorso, sul futuro prossimo del porto di Ravenna Lista per Ravenna e Ravenna in Comune hanno raccolto un dossier di dichiarazioni delle massime autorità presenti, pubbliche o parapubbliche (sindaco e presidenti dell’Autorità portuale e della Sapir). “Poste a confronto con le posizioni espresse dall’opposizione – hanno spiegato i due gruppi ieri, giovedì 6 febbraio, in una conferenza stampa – queste serviranno a lungo per valutarne, con le carte scritte, le coerenze o le contraddizioni, i successi o gli insuccessi”.
Il progetto esistente
“Si parte dal progetto esistente – introducono Alvaro Ancisi e Massimo Manzoli –, finanziato e avviato a gara d’appalto per un importo di 235 milioni, su cui hanno convenuto unitariamente la maggioranza e l’opposizione, divise sul preesistente sciagurato “Progettone”, fino a che, dopo otto anni di stallo e di supplizi procurati al porto, non è stato abortito. Diversamente da quanto alcuni consiglieri del PD hanno voluto far credere, l’opposizione ha confermato il proprio sostegno a tale progetto che, ridimensionato ai limiti ragionevoli, significa approfondire il porto canale a 12,5 metri, rispetto agli 11,5 degli ultimi scavi effettuati 13 anni fa, ridotti oggi a 9,45 causa le mancate ordinarie manutenzioni. D’accordo dunque sui 4,7 milioni di metri cubi di fanghi sabbiosi/limosi da estrarre e collocare opportunamente. Il presidente Rossi dell’Autorità portuale ha espresso l’impegno a completare la suddetta escavazione dei fondali “in circa 5 anni” e di ultimare i lavori “in ulteriori 2/3 anni”. Secondo noi, i maggiorenti politici del porto dovrebbero finalizzare le loro energie al rispetto di questi impegni, basati su finanziamenti certi, previsioni realistiche e sostenibilità tecnica ed ambientale. Andare oltre, ad otto anni (almeno!) di distanza dall’obiettivo, rischia di produrre nuove implosioni e disgrazie”.
Efficienza, lavori urgenti e tariffe sostenibili
“I dati ufficiali – proseguono LpR e Ravenna in Comune – parlano di 26.256.248 tonnellate movimentate tra entrata e uscita dal porto lo scorso anno, in netto calo rispetto al 2018 ed inferiori anche al 2017. Non si deve dunque restare con le mani in mano per almeno 5/8 anni, sperando che la Capitaneria faccia poi passare, valutando caso per caso al momento, la condizione dei fondali.
Primo punto sono le manutenzioni del porto-canale asportando i sedimenti che nel tempo si sono stratificati sui fondali, ma non certo aspettando per anni che si facciano gli scavi previsti dal progetto generale. Al riguardo, si sono avute dichiarazioni discordanti, che occorre condurre ad impegni chiari e precisi. Ricordiamoci che ora come ora questi sedimenti hanno come unica destinazione la cassa di colmata di Nadep, dove devono restare circa nove mesi, in attesa che l’Agenzia regionale per l’Ambiente stabilisca l’uso che se ne può fare.
Oggi il porto di Ravenna è sequestrato dai produttori di ceramiche del modenese e del piacentino, che ne hanno fatto un deposito di milioni di tonnellate di rinfuse, quali argille caolini e feldspati, che l’hanno letteralmente bloccato, mentre ne arrivano continuamente altre, nonostante che il loro ritiro, da parte dei produttori stessi, sia calato del 20,6%. Restano ben poche aree disponibili per traffici di “merce varia” (quali tubi, casse, tondoni di ferro, project cargo), capaci di produrre un indotto, posti di lavoro e mezzi impiegati ben maggiori. Abbiamo gru di elevata portata che potrebbero portarci ad essere l’unico porto con possibilità di imbarcare pezzi che superano le 400 tonnellate, attirando progetti di potenziale gran lustro per Ravenna.
Per contro, tutti i container in esportazione con piastrelle prodotte nel modenese e piacentino vengono imbarcati a La Spezia. Abbiamo chiesto che, col necessario concorso della Regione, Ravenna non resti tagliata fuori dal business delle ceramiche. Occorre acquisire, in proprietà o a bassissimo costo, la tratta ferroviaria Modena-Ravenna, su cui effettuare l’andata dei carichi contenenti l’argilla e il ritorno con quelli contenenti le piastrelle.
Il Presidente dell’Autorità Portuale Rossi ha escluso in consiglio comunale che si proceda all’elettrificazione delle banchine, come il consiglio stesso aveva richiesto all’unanimità il 17 aprile 2018, e nonostante la Regione e l’Europa abbiano previsto si debba fare entro il 2025. Questo obiettivo deve essere programmato con questa previsione, attivando un percorso che coinvolga l’impegno dello Stato e della Regione stessa, oltreché delle istituzioni locali. Scopo principale è che i motori delle navi non debbano restare accesi per produrre energia elettrica, eliminando, secondo il verbo della green ecology, questo dannosa specie di inquinamento ambientale
Fondamentale, per darci la possibilità di competere almeno in campo nazionale, altrimenti siamo destinati alla marginalità, è che il porto di Ravenna, il più caro in assoluto in Italia per le tariffe di sbarco ed imbarco, abbassi i costi, perseguendo maggiore efficienza dei suoi progetti e delle attività d’impresa, così da ridurre le proprie tariffe senza dover tagliare i posti di lavoro o gli investimenti per la sicurezza o ‘ambiente. Non parliamo solo della catena di imbarco e sbarco, ma del carico e dello scarico dei container, delle visite doganali o degli uffici di sanità e di frontiera e di tutti i servizi accessori. Serve, ovviamente, il contributo della Regione, principale interessata a che l’unico suo porto commerciale regga la concorrenza. Lo ha fatto il Friuli Venezia Giulia, che ha sovvenzionato il porto di Trieste affinché reggesse la concorrenza con le tariffe dell’emergente vicinissimo porto di Koper (Capodistria)”.
Nuovo Terminal Container “improponibile”
“Il progetto da 235 milioni in almeno otto anni – attaccano Ancisi e Manzoli –, cosiddetta 1.a fase, prevede sì la realizzazione di una banchina in Largo Trattaroli, ma rinvia ad una 2.a fase, ancora tutta da valutare, l’eventualità di costruire sul suo retro un nuovo terminal container. I maggiorenti politici del porto ne parlano invece come di un investimento immediato da “oltre 50 milioni”, senza peraltro dire chi lo pagherebbe. Non intendiamo imbarcarci in questa nuova avventura, mentre sarà già un successo, niente affatto scontato, se si riuscirà a finire come si deve, nei tempi pronosticati, il progetto in corso di avvio.
Va detto anzitutto che l’attuale “vecchio” terminal container della SAPIR in darsena San Vitale è sfruttato solo per metà, tanto che, avendo una potenzialità di 350 mila teu, ne ha movimentato appena 180.568 nel 2018 e 180.996 nel 2019, secondo un andamento lontano dall’obiettivo di 300 mila, fissato oltre un decennio fa. Del resto, siamo il 15° porto in Italia per traffico dei container. Nella 1.a fase – ha detto il presidente Rossi – si punta a raggiungere i 400 mila teu, previsione per la quale appaiono però che sufficienti le attuali dotazioni di terminal container. Tale obiettivo è peraltro condizionato – ha aggiunto – dalla stagnazione economica europea e dal forte rallentamento delle economie dell’est. Ma non è neanche legittimato dal boom, vagheggiato dal sindaco, che potrebbe aversi dalla futuribile “Via della seta”, lontana dalla prospettiva di passare da Ravenna.
Nessun volo pindarico potrà ridare l’antico splendore al nostro scalo se non si riparte coi piedi a terra. Siamo il porto che può servire i paesi vicini quali Grecia,Turchia, Libano, Egitto, Israele e Tunisia, ma lo siamo sempre stati. La torta da spartire è sempre rimasta la stessa, che non è aumentata da quando sono arrivate a Ravenna MSC per le crociere e ContShip per il terminal container di San Vitale. Anzi, Evergreen, una delle più grandi compagnie mondiali, ha scelto di uscire da questo terminal. Siamo già tagliati fuori dalle rotte delle grandi navi madre, perché le compagnie di navigazione hanno declassato il mare Adriatico a categoria B, con costi molto superiori, portando i container a La Spezia anziché a Ravenna. I container destinati in Adriatico vengono sbarcati in porti di “scartaggio” quali Gioia Tauro, Malta o Pireo e reimbarcati su navi feeder, decisamente più piccole, che portano i container ai vari porti dell’Adriatico con un notevole aggravio dei costi, per le addizionali di sbarco e reimbarco, e con tempi di transito altamente penalizzanti”.
Conclusioni
“Dunque – conclude una nota diffusa dalle due liste –, si potrà parlare di un eventuale nuovo porto container in Largo Trattaroli solo in vista del compimento dei lavori in appalto, non prima. Si badi a rispettarne gli obiettivi e i tempi, nel frattempo spendendo le energie politiche, professionali e tecniche disponibili e quelle finanziarie da rendere disponibili nell’adeguare e far crescere il porto secondo le sue più impellenti e irrinunciabili esigenze, che abbiamo sintetizzato, almeno, nelle cinque richieste sopra formulate”.