Servono più sgravi per i nuclei monoreddito e con figli adulti

Negli ultimi 10 anni la riduzione del peso delle entrate fiscali (-2,5% ma praticamente non se ne è accorto nessuno) è stata tutta e solo a vantaggio di imprese e capitale. Al contrario, gli introiti da imposte sui redditi di individui e famiglie sono saliti dell’1,2%. Numeri che si affiancano alla percezione (e alla realtà) di un sistema normativo che strangola sì le imprese ma che, parimenti, e forse più tartassa le famiglie. Ma di fatto, il sistema fiscale italiano – senza considerare le imposte locali e il prelievo previdenziale che comunque sono costi rilevanti per le imprese – è “fortemente sbilanciato” su individui e famiglie, mentre nei confronti delle imprese è “il terzo paese per imposizione fiscale più bassa dopo Lettonia ed Estonia”.

Il peso del fisco su imprese e famiglie

Il dato non è di parte in quanto proviene nella relazione di Gian Paolo Oneto, che guida la Direzione centrale Istat per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche economiche, presentata in commissione Finanze alla Camera nel quadro dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef. Le imposte sui redditi di famiglie e individui costituiscono una delle due voci prevalenti delle imposte dirette, essendo l’altra rappresentata dalle imposte sui redditi e sui profitti delle imprese. Il sistema italiano è fortemente sbilanciato a favore delle imposte sui redditi di individui e famiglie che pesano per il 27,5% delle entrate totali, mentre quelle sui redditi delle imprese si fermano al 4,6%” ha spiegato Oneto, aggiungendo che “questo sbilanciamento – è condiviso con la totalità dei paesi europei (fa eccezione solo Cipro), ma la differenza di peso delle due componenti assume intensità variabili: una differenza superiore a 20 punti percentuali si registra, oltre che in Italia, solo in Danimarca, Finlandia, Svezia e Lettonia. Il peso delle imposte sui redditi e i profitti di impresa in Italia è il terzo più basso d’Europa, superiore solo a quello che si osserva in Lettonia ed Estonia, mentre nel resto del continente, fatta eccezione per Grecia e Slovenia, questo peso raggiunge e per lo più supera il 6%”.

Tra 2010 e 2019 “la riduzione del peso delle entrate fiscali in Italia – ha detto Oneto – è dovuta principalmente alle imposte indirette Iva in primis (-1,9%). La variazione limitata dell’incidenza delle imposte dirette (-0,6%) è la risultante di una dinamica caratterizzata da una riduzione del peso delle imposte sui redditi e profitti di impresa (-1 punti) e di quelle sui guadagni di capitali (-2 punti) e, all’opposto, da un aumento delle imposte sui redditi di individui e famiglie (+2,1 punti)”. Dinamiche simili si sono osservate in Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Lettonia, anche se l’Italia si caratterizza per la maggior riduzione del peso delle imposte sui guadagni di capitali.

Serve più attenzione alle famiglie

Numeri che consentono anche una riflessione di strategia di politica fiscale. Il direttore Istat ha, infatti, sottolineato che nella futura riforma dell’Irpef bisogna “porre maggiore attenzione alle condizioni delle famiglie monoreddito, ma anche a quelle con figli adulti e, più generalmente, alle famiglie gravate da carichi familiari, il cui beneficio fiscale si perde progressivamente al crescere del reddito familiare”. Inoltre andrebbe riequilibrato lo svantaggio relativo in termini di tassazione delle famiglie con un unico percettore di reddito da lavoro dipendente o pensionistico: “Le famiglie che dispongono delle sole entrate da lavoro autonomo presentano livelli di tassazione più favorevoli sia nella parte inferiore, sia in quella superiore della distribuzione del reddito, con un vantaggio più marcato quando vi sono due o più percettori di redditi autonomi”.

La distribuzione dei redditi tra autonomi e dipendenti

Per quel che riguarda la distribuzione dei redditi, il 3% di contribuenti che dichiarano oltre 75mila euro di redditi per la maggior parte sono autonomi. Al netto delle mancate dichiarazioni, il 72% dei redditi sui quali grava l’Irpef è al di sotto dei 28.000 euro, il 22,3% si colloca tra 28.001 e 55.000 euro, solo il 2,7% è tra 55.001 e 75.000 euro e il 3% al di sopra. Oltre la metà (51,8%) dei redditi lordi da lavoro autonomo e il 45,7% di quelli da pensione si concentra nella fascia di reddito più bassa (fino a 15.000 euro annui). I redditi da lavoro dipendente risultano, invece, collocati prevalentemente nelle classi centrali: il 39,7% nel secondo scaglione (tra 15.001 e 28.000 euro) e il 21,6% nel terzo scaglione (28.001-55.000 euro).

Donne ancora penalizzate

Ancora molto forte il gender gap: il 44,5% delle donne con reddito da lavoro dipendente e il 59% delle donne con lavoro autonomo hanno redditi che non superano i 15.000 euro, rispetto al 27,6% dei dipendenti uomini e al 47,7% dei percettori maschi autonomi. Non solo. Dal punto di vista della distribuzione dei redditi per età emerge che tra i percettori di reddito da lavoro dipendente si colloca nello scaglione più basso poco più del 50% di chi ha meno di 35 anni di età e di anziani (65 anni e oltre). Anche il titolo di studio, ovviamente, discrimina fortemente la distribuzione dei redditi. In particolare, conferma ancora l’Istat, “guadagnano redditi non superiori ai 15.000 euro annui la grande maggioranza dei lavoratori con un titolo inferiore alla licenza media: quasi il 60% all’interno del lavoro dipendente e quasi il 70% di quello autonomo.