
Lo studio FATA potrebbe aprire una diversa prospettiva per l’accertamento del rischio cardio-embolico
Il rischio di embolia da trombi nell’atrio sinistro del cuore – evento temibile e potenzialmente devastante – soprattutto legato alla fibrillazione atriale, è una delle grandi questioni aperte della cardiologia, oggetto di molteplici filoni di ricerca. Si stima che in Italia circa l’1.7% della popolazione presenti episodi di fibrillazione atriale, cifra che supererebbe il 7% nell’età oltre 64 anni: per la provincia di Ravenna questo corrisponderebbe a circa 7000 soggetti affetti fra gli over-64. Un progetto di studio innovativo sul rischio embolico è stato promosso dalla U.O di Cardiologia dell’Ospedale di Ravenna, grazie alla collaborazione con il gruppo di bioingegneri del Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi” (DEI) dell’Università di Bologna.
Si tratta dello studio FATA, che prende in considerazione la simulazione e la misurazione dei flussi di sangue in 3D all’interno dell’atrio sinistro, per valutare se vi sono indici che possono far prevedere un rischio maggiore di trombi ed emboli.
L’Ospedale di Ravenna, con le UO di Cardiologia (direttore il dott Andrea Rubboli) e di Radiologia (direttore ff la dott.ssa Maria Teresa Minguzzi), è il centro promotore della ricerca clinica FATA. Investigatori principali sono i medici Corrado Tomasi della Cardiologia e Fabio Ansaloni per la Radiologia.
IL RISCHIO DI EMBOLIA
Il rischio di embolia causato dalla fibrillazione atriale è attualmente misurato con “punteggi” clinici costituiti da fattori come età, ipertensione, diabete, precedenti cardioembolici ed altri, ma non vengono prese ancora in considerazione le condizioni emodinamiche (il comportamento del sangue in movimento nei vasi) che caratterizzano lo specifico paziente in fibrillazione atriale. La descrizione di questa specificità potrebbe aprire nuovi scenari di personalizzazione del rischio, e quindi delle scelte terapeutiche nel singolo paziente
Come lo studio FATA potrebbe modificare questo approccio tradizionale?
Recenti esperienze pionieristiche hanno suggerito di valutare le informazioni sui flussi ematici in tempo reale all’interno dell’atrio sinistro e dell’auricola sinistra per migliorare la predizione del rischio di formazione di coaguli in fibrillazione atriale. Lo strumento di analisi impiegabile potrebbe essere la modellazione computazionale della dinamica dei fluidi: uno strumento unico, non invasivo, completamente controllabile e riproducibile. A sviluppare il modello sono stati il gruppo di elaborazione di bioimmagini del DEI, coordinato dalla prof.ssa Cristiana Corsi e il gruppo di modellazione fluidodinamica del MOX del Politecnico di Milano. Il modello è stato pubblicato su importanti riviste internazionali di Bioingegneria (fra tutte: Journal of Biomechanical Engineering e Frontiers in Physiology) con risultati incoraggianti circa le prospettive di una valutazione clinica, cioè su soggetti reali.
“La ricerca è partita nel dicembre 2019 dopo approvazione dei due Enti, AUSL e Dipartimento di Ingegneria dell Università di Bologna, Campus di Cesena” – spiega il dottor Corrado Tomasi, Responsabile del laboratorio di Elettrofisiologia dell’Ospedale Civile di Ravenna -. “Si valuta l’analisi dei flussi di sangue sulla tomografia computerizzata, per cercare differenze significative fra soggetti sani e soggetti con fibrillazione atriale e diversi gradi di malattia cardiaca. Stiamo arruolando pazienti: ne sono previsti 100 da arruolare in un anno”.
LE POSSIBILITÀ APERTE DALLA RICERCA
La ricaduta della ricerca è definibile semplicemente come “gettare un seme fertile”, spiega la prof.ssa Corsi: “Se otterremo risultati positivi si aprirà una nuova modalità di studio del rischio trombo embolico mediante strumenti di simulazione personalizzati sul paziente e si presenterà alla comunità scientifica la possibilità di un approfondimento clinico su molti più soggetti”, per andare verso un reale miglioramento della diagnosi e delle terapie da somministrare. “Questa parte però di norma va oltre l’impegno di uno o pochi centri clinici, e dovrebbe coinvolgere molti più centri ed eventualmente enti di ricerca e industria”.